Per il “voto col portafoglio” nel settore agricolo

Condizioni disumane di lavoro per salari da fame. Scoppiano le rivolte dei braccianti, come nel caso di Foggia, mentre cresce il confronto sul decreto governativo cosiddetto “Campo Libero” sul  lavoro di qualità. Il parere di Stefano Mantegazza, segretario generale Uil per il settore agricolo. Il rapporto con le reti del commercio solidale dell’Europa del Nord, il ruolo del sindacato e il rapporto con le aziende produttrici
caporalato

Mentre cresce il dibattito davanti alla necessità dell’accoglienza di un numero crescente di migranti, in alcune regioni italiane restano diffuse forme di sfruttamento del lavoro agricolo che coinvolgono un gran numero di braccianti, prevalentemente stranieri, costretti a subire condizioni inique e umilianti di lavoro. Venerdì 4 settembre, a Foggia, in uno dei luoghi più emblematici del fenomeno del caporalato, è scoppiata una rivolta sedata con fatica da parte di un centinaio di migranti che ha chiesto non solo il rispetto dei minimi contrattuali previsti per legge, la fornitura dei servizi essenziali come casa, acqua e mezzi di trasporto, ma anche l’ottenimento del permesso di soggiorno e la residenza. L’iniziativa è stata sostenuta dai centri sociali del posto che criticano duramente il decreto cosiddetto “Campo libero” emanato dal Governo perché condurrebbe «all’esenzione sostanziale dai controlli per le aziende che non hanno subito sanzioni in precedenza» e che aderendo alla rete del lavoro di qualità, finirebbero per proteggere «le grandi imprese che controllano la filiera».

Per continuare a cercare di capire meglio la situazione, abbiamo sentito il parere di Stefano  Mantegazza, segretario generale del settore agroalimentare del sindacato Uil che ha fatto del “lavoro di qualità” il proprio cavallo di battaglia da quando, sin dal 2001, ha dedicato a questo tema il congresso nazionale. Nel 2011 ha anche avviato la collaborazione con alcune organizzazioni di tre Paesi dell’Europa del Nord (Norvegia, Danimarca, Regno Unito), molto attente al problema dello sfruttamento illegale della manodopera, in particolare nella raccolta del pomodoro.

I tre sindacati confederali del settore (Uil assieme a Cisl e Cgil ) hanno presentato, nell’ottobre 2014, una proposta di legge di riforma del mercato del lavoro in agricoltura, finalizzata a combattere la piaga del lavoro nero e a promuovere, appunto “il lavoro di qualità” in agricoltura. Nel maggio del 2015, le tre sigle hanno presentato una lettera aperta al governo italiano assieme alle organizzazioni del commercio solidale dei Paesi del Nord Europa proprio per introdurre misure efficaci contro il lavoro nero in agricoltura.

Avete avuto un cenno di risposta da parte del governo?

«No. L’Italia non ha ancora risposto alla lettera, scritta dalle onlus di Norvegia e Danimarca, nella quale si chiedeva quali misure fossero state adottate per combattere la piaga del lavoro nero in agricoltura e si sosteneva la proposta unitaria di Fai-Flai-Uila di riforma del mercato del lavoro agricolo, quale soluzione efficace per contrastare il fenomeno dello sfruttamento».

Come procede la cooperazione con il mondo equo solidale del Nord Europa?

Restiamo colpiti dalla grande sensibilità mostrata dai consumatori di questi Paesi verso il problema del lavoro nero in Italia; una sensibilità che spesso è mancata da parte delle nostre istituzioni. La principale Onlus con la quale abbiamo rapporti è la norvegese Ieh (Ethical trading initiative), composta da sindacati dei lavoratori, associazioni di imprese produttive e del commercio, associazioni non governative. Ci hanno chiesto di conoscere la provenienza dei prodotti importati dall’Italia (in particolare il pomodoro) per sapere se tali produzioni fossero figlie di lavoro nero e sfruttamento illegale delle persone. Noi abbiamo spiegato come funziona il mercato del lavoro agricolo italiano e dove si può nascondere il lavoro illegale. In particolare, abbiamo evidenziato dei casi di comportamento anti-sindacale da parte di alcune imprese e segnalato, al contrario, delle aziende che applicano i contratti nazionali e di secondo livello mantenendo buone relazioni sindacali».

Cosa prevede la vostra proposta? 

«Creare una “Rete del lavoro in agricoltura”, alla quale possono iscriversi lavoratori e aziende per monitorare incontro tra domanda e offerta di lavoro; una “Rete” istituita da organizzazioni sindacali e datoriali, d’intesa con l’Inps (che mette a disposizione la propria tecnologia informatica e le sue banche dati), alla quale possono aderire, attraverso apposite convenzioni, anche istituzioni locali, centri per l’impiego ed enti bilaterali. Nella “Rete” il lavoratore può trovare un lavoro regolare, basato sui contratti; i lavoratori migranti impiegati in modo illegale possono farne denuncia alla “Rete” (che la trasmetterà alle autorità competenti), iscrivendosi ad essa e richiedere un permesso di soggiorno provvisorio».

Prevedete un riconoscimento per le imprese iscritte alla Rete del lavoro di qualità ?

«Per i datori di lavoro iscritti alla Rete è previsto un sistema di premialità, con incentivi e il riconoscimento di una certificazione etica sul “lavoro di qualità”. Ai datori di lavoro che assumono manodopera attraverso la Rete è riconosciuto un credito d’imposta per ogni giornata lavorata e dichiarata. La violazione dei contratti collettivi e delle leggi su lavoro e sicurezza comporta la cancellazione dalla “Rete” e la revoca delle premialità».



 

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